lunedì, ottobre 13, 2008

Graziano straordinario compagno di viaggio


Sabato 11 ottobre, in un Salone dei Cinquecento gremito di persone, Lele Tiscar e Mariella Carlotti hanno dato vita alla presentazione fiorentina di Sto registrando tutto per l'eternità
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L'incontro, promosso dall'Associazione Nel segno di Graziano, è stato introdotto da Gabrile Toccafondi e preceduto da un saluto del sindaco Leonardo Domenici.
Di seguito, pubblichiamo l'intervento di Lele Tiscar

Quando quella mattina di settembre di due anni fa alle 7,00 il telefono cellulare squillò stavo prendendo il caffè prima di andare in ufficio. Immaginai che era successo qualcosa di eccezionale e la voce di Alfio fu il segnale che la notizia doveva essere tragica.
Come quando ci si taglia con una lama affilata passano alcuni istanti in cui si rimane come estranei alla cosa che ci accade e solo dopo si affaccia il dolore, anche allora l’unica cosa che riuscii a balbettare fu che non era possibile, non poteva essere vero e come solitamente ciascuno di noi fa in casi simili, mi aggrappai a tutte le informazioni a volte un po’ banali di come era accaduto e quando, come per chiedere aiuto a riprendermi dallo stordimento e tornare al mondo reale da cui ero stato momentaneamente rapito.
Da quando vivo e lavoro in Lombardia i rapporti con molti amici di Firenze si sono inevitabilmente allentati, spesso ridotti a delle telefonate o sporadiche visite lampo o appuntamenti assembleari. Ma il mio rapporto con Graziano non potevo definirlo allentato, proprio no. Piuttosto, riducendosi all’essenziale come sempre la distanza geografica costringe, si era consolidato nel tempo. Così, solo pochi giorni prima della telefonata di Alfio, era suo l’SMS che mi chiedeva se poteva estendere l’invito alla festa per il mio venticinquesimo anniversario di matrimonio anche a Robertino Gaita, un amico down che lui andava a trovare periodicamente alla residenza dove vive.
Chi era Graziano per me? Faccio prima a dire cosa ero io per lui. “Grande Lele” era l’appellativo con cui mi chiamava, sicuramente suggerito dalla mia altezza, ma per lui ero davvero grande nel senso di punto di riferimento, guida, mentore. Questa stima col tempo si era accresciuta e irrobustita, anche quando non ci vedevamo più così spesso ed io non facevo più politica. Molte erano le volte che, di passaggio a Firenze per lavoro, non era contento se non mi invitava a cena a casa o comunque potermi vedere, scambiare qualche battuta sulla politica cittadina e nazionale, sulla comunità di CL, su cosa facevo io. Ci teneva proprio a sapere di me e se non gli dicevo che sarei passato da Firenze se la prendeva veramente. Con gli anni questo attaccamento è stato per me un pungolo scomodo. Come faceva ad essere sempre così entusiasta di un rapporto e provare un senso di stima così tenace? Che ragioni poteva avere?
Quando si fa politica a tempo pieno come l’ho fatta io per qualche anno, si fa un po’ l’abitudine al fatto che la gente ti cerchi, voglia conoscere la tua opinione, avere un consiglio; in fin dei conti si è per loro un simbolo e si finisce a ritenersi un personaggio importante, fino al punto che talvolta è difficile evitare il baratro del cinismo in cui non c’è più spazio per lo stupore di un incontro; alla fine ci si abitua anche a questo. Quante volte mi sono chiesto: io non faccio più politica da tredici anni, a chi può interessare ciò che penso? Ebbene, a Graziano interessava moltissimo, sinceramente e affettuosamente a lui io interessavo sul serio.
Solo con il tempo ho capito che la politica era un pretesto: a lui interessava conoscere me, il criterio che usavo per giudicare, il perché nascosto dietro l’apparenza delle cose e dei fatti, un altro punto di vista che gli fosse di aiuto e di sostegno, e questo ero io, io ero la persona che lui cercava. Lui cercava me.
Scoprire che qualcun altro è entusiasta di te, sempre, ogni volta come se fosse la prima, che tiene a te come se fossi la persona la cui amicizia è la cosa più preziosa e importante al mondo, che ti cerca come una cosa importante è sconvolgente, ma è la cosa che più in fondo al cuore desideriamo. E’ il miracolo dell’amicizia sì, certo, lo sappiamo o forse talvolta pensiamo di sapere, tanto che non c’è bisogno di dirlo. L’amicizia la si vede dallo sguardo, dalla felicità che uno ha quando ti incontra, dalla passione che mette nello stare con te. Già, perché cosa c’è di più bello che stare con i propri amici? Sorprendersi voluto e desiderato da un amico è la cosa più sconvolgente della vita, una cosa dell’altro mondo tanto è bella, fino alle lacrime di commozione. Per questa bellezza vissuta Graziano era straordinariamente facile entusiasmarsi per qualcuno ed entrare in amicizia con lui. Ricordo la sorpresa per il mio 50° compleanno oppure la festa alla vigilia del trasloco in Brianza; tutto era occasione per dare espressione a quella gratitudine che sola “conserva un positivo presente”, come lui stesso aveva scritto a Gianna.
Graziano era un uomo lieto, lieto perché grato e di questa gratitudine (che definisce come “ciò che di più ragionevole e semplice corrisponde al desiderio del nostro cuore”) investiva uomini e cose, moglie e figli, lavoro e politica.
Di cosa era grato Graziano? Lo racconta nell’articolo scritto in occasione del funerale di don Giussani: “L’indicazione di Cristo come compimento di questa sete di significato, nascosta in ogni umana aspirazione, non era più dogmatica o data per scontata: Me lo ero sentito dire anche da mia madre e in parrocchia, ma le avvertivo più come l’eco della tradizione cattolica del nostro paese piuttosto che come esperienza viva , incontrabile.” Nell’incontro con Comunione e Liberazione “finalmente il cristianesimo non mi si presentava più come una serie di regole morali, peraltro fastidiose, ma come un’esperienza a portata di mano e di persone alle quali l’incontro cristiano aveva allargato il cuore e la testa”
In quell’incontro che lo ha segnato in modo indelebile fino alla sua morte, Graziano aveva incontrato “il proprio compimento e felicità” in cui “in cui nulla delle mie passioni veniva censurato, ma riaccolto e valorizzato in un respiro più grande, consapevole e adeguato”.
E quali erano le passioni di Graziano? “Ragazze, calcio e politica”, scrisse, e che dopo l’incontro con Giovanna e l’avvento dei suoi splendidi figli (era il termine da lui usato per tutti i figli, anche quelli degli amici), diverranno “famiglia, calcio e politica”.
La passione non è l’interesse astratto di chi in fondo non si sente protagonista, ma l’ardore di un coinvolgimento totale che prende tutto se stesso. Graziano non era un tifoso di calcio, ma un giocatore, un agonista che vuole entrare in campo a giocare e che soffre come un cane a stare in panchina. Quando si ruppe i legamenti scrisse a Paolo, Bruno e Gaetano e descrisse così il suo stato d’animo: “Non vorrei apparirvi patetico per un verso, o superficiale per un altro, se vi confesso che quando, disteso quella domenica sera su un lettino del pronto soccorso, mi fu sentenziato che avrei dovuto mollare l’agonismo, fu per me una mazzata tremenda; in un attimo capii che si chiudeva per me un capitolo (stavo per scrivere un amore) grande davvero, e ancora adesso, per la verità ho il dubbio se riuscirete ad immedesimarvi fino in fondo in cosa rappresentava per me il calcio nel mio vivere”.
Non c’è amore vero senza passione, senza bruciare fino a consumarsi tutto. Ogni passione porta con se il desiderio di trovare il Vero Amore, il compimento di sé. E in questo Graziano era un gigante nella sua disarmante semplicità. Così continua la lettera:
“Passato comunque lo sconcerto iniziale, la prima sensazione, quanto mai salutare, che ha preso consistenza è stata quella di un ridimensionamento enorme, arrivato forse non casuale a smantellare punto per punto tutti i miei programmino, preconfezionati a mio uso e consumo, e a far giustizia, in un sol colpo, dell’idea che niente mi fosse precluso e che del mio domani potessi disporre a mio piacimento; è stato l’esatto contrario: basta un tendine che salta a farci apprezzare l’umiltà occorrente quando ci troviamo in condizioni di dover dipendere dalla disponibilità altrui anche per i più elementari bisogni.
Comunque non è propriamente questo l’aspetto, di per sé abbastanza scontato, che più mi preme sottolinearvi, quanto piuttosto l’accorgersi che questi frangenti impongono un “ripensarsi” e ancor di più un “riesaminarsi” indemandabile; e l’esame sul mio caso non può che consistere nel verificare se davvero “Cristo mi basta per vivere”, indipendentemente dalle situazioni che fanno da corona a questo che sento come il fatto più importante della mia vita, indipendentemente cioè dal lavoro che piace o non piace, dall’avere o meno la ragazza, dall’essere primo in classifica o non poter addirittura più giocare.”
Pur non potendo più giocare a calcio, non dismise i panni dell’agonista, pronto alla sfida di quella verifica se Cristo basta per vivere, solo che il campo da allora non fu più quello di calcio, ma quello della vita marcata dall’incontro con Gesù: “il successo in queste prove sta già nella convinzione di volerla affrontare” concluse.
Così “il terreno di gioco è la rappresentazione della vita intera” come scrisse a Gianna “E’ impossibile che non ci siano mai pozze d’acqua, cioè difficoltà da attraversare. Ci si allena apposta per fortificarsi e saperle affrontare quando capitano. Una vita che non le attraversi è un qualcosa di “artificiale”, proprio come questi campi di gioco. Non è solo la capacità tecnica che dice del valore di un giocatore, è anche la sua forza agonistica e morale nel portare un pallone fuori dalla melma”
La stessa passione del calcio investì tutto, gli affetti, il lavoro, la politica, uomo lieto e appassionato, perché infinitamente grato di tutto.
A partire dalla sua amatissima Giovanna, del cui incontro e del cui amore non cesserà mai di ringraziare Dio.
“Carissima Giovanna, ci aspettano ancora tanti appuntamenti, ma la nascita di Gabriele rimarrà sempre un punto fondamentale della nostra storia. Nei mesi che lo abbiamo aspettato ci ha già aiutato molto nell’apprezzare la gratuità e il mistero della vita. D’ora in poi la sua presenza sarà un’inesauribile miniera di stupore e di gratitudine al Mistero che tutti ci ha fatto essere. Scriverò una letterina anche ai suoi fratelli. Sono tanto grato a Colui che ha voluto che questo accadesse e a te che sei stata il tramite di questi miracoli nella mia vita. Che la Madonna vegli sempre sulla nostra famiglia.”
“Carissima Giovanna, così come il nostro Gabriele mi sta regalando dolcissime ed intensissime vibrazioni esistenziali, la tua presenza accanto a me e a loro mi rende sempre più consapevole e grato del Mistero che ha voluto che ci incontrassimo. Sto “registrando” tutto per l’eternità.”
Ai teneramente amati Anna, Giulio, Francesco e Gabriele “tutti e quattro regalati da Gesù” a cui ricorda che “nessuno di noi ha scelto di esistere, tutti ci ritroviamo a vivere senza scegliere né i figli, né i genitori, né il secolo né la nazione in cui nascere” “né decideremo noi come e quando la nostra precarietà si interromperà. La nostra vita è dentro una gratuità totale.”
Fino ai suoi colleghi di lavoro, i suoi amici, ai suoi avversari di partito. Tutto e tutti sono investiti dallo struggimento di un grande Amore incontrato, incontenibile nella sua tenerezza.
Per tutti Graziano aveva un segno di attenzione, un gesto, una visita, una letterina o un SMS. Ogni volta che andava a trovare Robertino Gaita, il down comune amico fin dai tempi dell’università, non mancava di telefonarmi e passarmelo, sapendo di fargli e farmi un bellissimo regalo. A partire dall’incontro che lo aveva sedotto, Graziano avrebbe abbracciato il mondo intero a cui dire la bella notizia che il positivo della vita è presente.
In politica non era diverso, altra grande passione di Graziano in cui tutto era occasione per mettere in gioco se stesso e ciò che lo muoveva, mettendo a frutto ciò che aveva imparato nello spogliatoio “reagire alle sconfitte e non inorgoglirsi delle vittorie” come scrive a Gianna.
Sempre a Gianna: “Nelle istituzioni ci si affanna spesso in grandi progetti, investimenti e programmazioni per un traguardo , se viceversa si potessero moltiplicare uomini ed educatori come Enio, il mondo sarebbe sicuramente migliore.” Graziano sapeva bene che non è la politica che può rendere migliori gli uomini, ma come lui stesso dice “l’aver di fronte un uomo vero, nei cui confronti la voglia di assomigliargli scatta immediata.”
Per Graziano politica era servire con lealtà. Servire come ha fatto Cristo, servire tutti con letizia e generosità perché si è coscienti di essere i più piccoli e di avere tutto in dono, ma proprio così affermare la grandezza, la magnificenza dell'agire umano: servire l'uomo è fare lo stesso mestiere di Gesù, fare proprio come Lui. Servire con lealtà anche a costo di essere giudicati ingenui, non sufficientemente scaltri, ma servire tutti senza calcolo, soprattutto coloro che non hanno a chi rivolgersi.
Per questo c'è sempre un qualcosa che va oltre la battaglia politica; un sorriso, un abbraccio, una comprensione dell'umano che non è capacità nostra: è di Gesù, è Lui che fa il suo mestiere usando noi. Uno non vede Gesù, vede noi. Noi non saremmo mai capaci di far bene questo mestiere, perché siamo fragili, meschini e peccatori. Ma quando facciamo il suo mestiere immedesimandoci in Lui, Lui ci fa grandi, facciamo miracoli, siamo come Lui. Graziano era così. Entusiasta come un ragazzo che scopre che questo mestiere era per lui la cosa più bella della vita. E Gesù usando lui ha toccato il cuore di tanti. Non era Graziano, era Gesù che agiva potente, dolce, benevolo, mai cattivo, sensibile, generoso. Per questo Graziano era e rimane nel cuore di tutti un Grande!
Questo dobbiamo dire forte in questo Palazzo che Savonarola volle consacrato a Gesù Salvatore dell'Uomo! Per Graziano il centro della politica era e resta Gesù. Perché il centro della politica è l'uomo, ma il centro dell'uomo è Gesù. La politica senza Gesù è in fondo solo ricerca del potere e del proprio interesse. Ultimamente violenza per affermare un'idea anche a costo di distorcere la realtà. Ma il potere come servizio all'uomo è riconoscere che in fondo la felicità non ce la possiamo dare da noi stessi, ma che abbiamo tutti bisogno di essere amati da qualcuno. E Gesù ama ciascuno di noi.
Non si può fare politica senza degli amici a cui si appartiene. Fare bene questo mestiere si può solo se si hanno degli amici dai quali si impara Gesù, con i quali si sperimenta il suo amore, il suo perdono. Non si può amare se non si è amati, perdonare se non si è perdonati. Si può dare solo ciò che si è avuto. Graziano ha incontrato dei compagni al suo destino con i quali il centuplo quaggiù si poteva toccare e sperimentare ogni giorno, ogni ora. Tanti, tanti amici erano il viso beato del suo centuplo che aveva incontrato. E vi era attaccato come un albero alla sua radice.
Graziano ci ricorda che non si può fare il mestiere della vita senza che Gesù si faccia sensibile ogni giorno della vita tramite gli amici, il loro volto e il loro sguardo.
La sua fede cristiana era una esperienza sensibile, a cui tutti potevano partecipare, che potevano incontrare come era capitato a lui. Non un ideale, non un'ispirazione, non un'utopia o un sogno. Era una cosa concreta come il dolcissimo amore per e di Giovanna.
E' vero o no che tutti abbiamo bisogno di un amico? Senza di un amico cosa sarebbe la vita? Graziano lo sapeva bene, benissimo. Per questo lui era così attaccato ai suoi amici. Erano la sua vita. E per questo il suo entusiasmo era sempre l'offerta di un'amicizia e di una compagnia.
Ora Graziano non è più fisicamente presente. Ma lo è più di prima perché il suo mestiere l'aveva imparato bene e il suo agire ci ha segnato. Ha lasciato tante lacrime, certo, ma non disperazione e malinconia. “La malinconia parla di un bene assente” ha scritto, ma noi stiamo parlando di una Presenza che opera in modo efficace.
Ce lo scrive lui stesso: ”Resta però il tesoro che non si finisce mai di conoscere ed apprezzare: una fede capace di rendere ragione della speranza che porta, che non confligge con la ragione ma anzi la usa fino al suo limite massimo che è l’apertura al mistero, un’obbedienza che diventa sostegno invece che freno alla propria libertà, un approfondimento della propria identità personale e di popolo che diventa apertura ad altri mondi e culture” facendo una mirabile sintesi dell’esperienza cristiana.
“Donna non piangere” disse Gesù alla vedova di Naim, “Donna non piangere” ripeté don Giussani al termine degli esercizi spirituali nel 2002. “Uomo non piangere! Tu non piangere! Non piangere, perché non è per la morte , ma per la vita che ti ho fatto! Io ti ho messo al mondo e ti ho messo in una compagnia grande di gente! Uomo, donna, ragazzo, ragazza, tu, voi, non piangete! Non piangete! C’è uno sguardo e un cuore che vi penetra fino nel midollo delle ossa e vi ama fin nel vostro destino, uno sguardo e un cuore che nessuno può fuorviare, nessuno può rendere incapace di dire quel che pensa e quel che sente, nessuno può rendere impotente!
Gloria Dei vivens homo. La gloria di Dio, la grandezza di Colui che fa le stelle del cielo, che mette nel mare goccia a goccia tutto l’azzurro che lo definisce, è l’uomo che vive. Non c’è nulla che possa sospendere quell’impeto immediato di amore, di attaccamento, di stima, di speranza. Perché è diventato speranza per ognuno che lo ha visto, che ha sentito: “Donna, non piangere!” che ha udito Gesù dir così: “Donna, non piangere!”
Non c’è nulla che possa fermare la sicurezza di un destino misterioso e buono!”
Graziano lascia la voglia di essere come lui, di fare come lui, la stessa voglia di imitare Cristo che aveva lui in una vita assolutamente normale, ma una normalità lieta ed entusiasmante.
Questa è la santità, questa è la tenerezza delle carezze di Dio alla nostra miseria che sono i santi come Graziano.
Dio Padre Buono ce lo ha dato nostro compagno di viaggio perché capissimo meglio di cosa ha bisogno il nostro cuore.
E Firenze lo accolga, lo abbracci e lo ami sempre tra i suoi figli più cari.


Firenze, 11 ottobre 2008

2 Comments:

Anonymous Anonimo ha scritto...

Devo moltissimo a Graziano. Tutt'ora quello che ho imparato da lui me lo porto dietro nella mia esperienza. Era e resta un testimone vero, presente. Un'amicizia dove veramente la politica, nostra comune passione, alla fine era un pretesto per qualcosa di più grande che ci univa. Ci dicevamo spesso quando ci trovavamo a pranzo in San Lorenzo, perchè dovevo parlargli, che anche senza la politica-se un giorno non avessimo più un ruolo- "noi vivremo felici lo stesso perchè abbiamo uno scopo più importante: la regalità della nostra vita sostenuta da Cristo fatto carne attraverso le facce dei nostri amici". E poi la tenerezza con cui amava mio figlio Tiberio-come non tenere viva la memoria proprio dell'ultima vacanza con il movimento un mese prima che morisse-quando mi ha aiutato insieme a Giovanna e a Giulio, ed Anna a stare dietro a Tiberio. Mio figlio continuamente mi chiede "cosa starà fecendo Graziano in Paradiso?", recitando quando un Angelo Custode, quando un Ave Maria per lui e per Giovanna e i suoi figli perchè non siano tristi! Da giugno ho dato vita ad un mio blog-http://www.politicus.splinder.com- e ho dedicato questa avventura "on-line" a Don Giussani e a Graziano.
Questo è il link:
http://politicus.splinder.com/post/17579630
Un caro saluto a voi amici e grazie per la commovente serata di sabato 11 ottobre.
Alessandro La Rosa-Larry per gli amici più "anziani"-

venerdì, 17 ottobre, 2008  
Blogger Il Giornale della Memoria ha scritto...

Caro Alessandro, ho un fulmineo ricordo di te e Graziano, nel barrino sotto la Provincia, in un pomeriggio caldissimo.
Ero di passaggio da Milano e venivo a salutarlo: lui mi aveva guidato, via cellulare.
Da come vi salutaste, dalla cordialità schietta che c'era, capii che la era una bella amicizia.
Grazie di questa tua tenera testimonianza.
Giampaolo

sabato, 18 ottobre, 2008  

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